La morte riguarda ciascuno di noi, ma allo stesso tempo nella nostra società è difficile parlarne, spesso la si nega, facendo finta che quasi non esiste.
La morte è un concetto da trattare con cura, è qualcosa di negativo e in quanto tale spesso è negata e taciuta. Quante volte ci siamo trovati difronte a persone in lutto e non sapere cosa dire, oppure di fronte a scene di morte a giriamo la testa rivolgendo lo sguardo da un’altra parte. Noi esseri umani tendiamo a rifiutare il tempo della morte, vorremmo poter vivere senza considerare la presenza della morte.
Invece, per il buddismo, la morte fa parte della vita e invece di evitarla, sarebbe molto meglio imparare a conviverci, in quanto la morte è quell’aspetto dell’esistenza in grado di valorizzare tutti gli altri aspetti, a cominciare dalla vita stessa.
Secondo questa tradizione, un giorno passato senza la consapevolezza della morte è un giorno buttato via, in quanto il sapere di dover morire ci aiuta a scegliere con più forza cosa è veramente importante fare adesso. Per imparare a morire bisogna imparare a vivere.
Secondo il Lama Zopa Rimpoche, noi pensiamo di aver paura della morte, ma in realtà non la conosciamo, non sappiamo cosa sia. Infatti, quello di cui abbiamo in realtà paura è la sua rappresentazione, ma, se noi riuscissimo a far pace con questa rappresentazione, sarebbe più facile affrontare ogni esperienza della nostra vita, morte compresa.
Quindi il vero problema non è la nostra morte, quanto la sofferenza di chi rimane.
La poesia di Bertolucci “Assenza” [Assenza, più acuta presenza. Vago pensiero di te, vaghi ricordi turbano l’ora calma e il dolce sole. Dolente il petto ti porta, come una pietra leggera.”] ci parla proprio del peso dell’assenza di chi non c’è più.
Paradossalmente, quando i nostri cari sono in vita, non pensiamo costantemente a loro tutto il giorno. Ma quando qualcuno muore, ci troviamo a dover riorganizzare la nostra vita intorno ad un’assenza, in una quotidianità̀ in cui non è più̀ possibile riconoscersi.
Quando la morte ci sottrae i nostri cari, attraverso la loro assenza, il vuoto che hanno lasciato, la loro presenza si fa invece più̀ forte, più̀ costante e l’amore si trasforma in dolore. È come se il compito di questo dolore fosse quello di rassicurarci dei nostri sentimenti, come se smettendo di soffrire temessimo di smettere di amarli.
La strada dell’elaborazione del lutto è necessariamente lunga, ma conduce passo passo a un nuovo modo di colmare il vuoto dell’assenza con un nuovo sentire, una nuova forma di presenza. Ed è quando questo diventa possibile, che torniamo a sentirli più̀ forte accanto a noi, a riconoscerli in una nuova forma di presenza. “Dolente il petto ti porta come pietra leggera”. Chandra Candiani scrive: “Niente può̀ sanare tutto e/ma tutto collabora a sanare tutto”. Forse non saremo mai totalmente sanati, ma impariamo a stare con le ferite, e a trasformare la pietra in pietra preziosa.
La morte riguarda ciascuno di noi. Impariamo a parlarne a dar voce alla nostra sofferenza in modo da sentirci meno soli e a ridare senso alla nostra vita anche in presenza di una assenza.
Dottoressa Isabella Bonapace
Psicologa Psicoterapeuta della Gestalt
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